giovedì 31 gennaio 2013

L'”extraterritorialità” della sede diplomatica

La sede diplomatica è parte integrante della c.d. “missione diplomatica” come definita dall’articolo 1 della Convenzione di Vienna del 1961 (Convenzione) sulle relazioni diplomatiche. Questa, insieme al contenuto al suo, ai sensi dell’art. 30 della Convenzione sono inviolabili, pertanto, le autorità di uno stato accreditatario non possono e non hanno facoltà di esercitare il loro potere coercitivo al proprio interno. Alcuni studiosi hanno quindi teorizzato il concetto di “extraterritorialità”.

La teoria dell'extraterritorialità della sede diplomatica fu sviluppata da Grozio in De jure belli ac pacise,  successivamente, ripresa da altri autori come Vattel, il quale affermava che «[o]n considère […] l'Hôtel d'un Ambassadeur comme étant hors du Territoire, aussi bien que sa personne».
Tuttavia, il concetto in esame non ha mai convinto completamente gli studiosi del diritto internazionale, al punto che, a partire dal XIX secolo, si manifestarono diversi oppositori che stigmatizzarono le restrizioni che questa teoria comporta. Tali restrizioni riguardano principalmente l'impossibilità di applicare della legge nazionale nei confronti degli agenti diplomatici.
A tal proposito, Morelli sostenne l’inappropriatezza dell'espressione “extraterritorialità”. Infatti, la sede della missione diplomatica è situata nel territorio dello Stato e quindi essa stessa è territorio dello Stato ospitante, il quale, tuttavia, si astiene dall'intervenire al suo interno per un obbligo internazionale, all'epoca ancora di origine consuetudinaria.
Ipotizzando per assurdo che la sede della missione diplomatica benefici dell'extraterritorialità, si dovrebbe sostenere che un atto, messo in opera al suo interno, gravemente lesivo dell'ordine pubblico nei confronti dello Stato accreditatario, sia stato commesso all'estero, impedendo quindi l'intervento a tutela della propria integrità nazionale. Questa conclusione è stata definita non solo paradossale, ma anche assurda.
Comunque, per non modificare il linguaggio usato nel corso dei secoli, alcuni autori propendono per un'interpretazione estensiva del significato di “extraterritorialità” diversa dal suo originale significato, intendendola come porzione di territorio nella quale «è garantita l'esenzione dall'esercizio della giurisdizione dello Stato territoriale». In merito, anche Oppenheim riconosceva in questo termine un abuso di linguaggio in quanto gli inviati diplomatici non sono fuori dallo Stato accreditante, bensì nel suo interno. Tuttavia, per rimarcare la sacralità della missione diplomatica, fu mantenuto l’uso del termine evocante il concetto di “extraterritorialità”.
Infatti, con l’evoluzione della dottrina, Tale concetto riferito alla sede diplomatica viene considerato all'unanimità come fittizio, ed è stato sostituito nel corso del secolo scorso con il concetto dell'inviolabilità, nozione che indica l'impossibilità per lo Stato accreditatario di esercitare il proprio potere coercitivo all'interno dei locali diplomatici, benché tali locali restino sempre soggetti alla legislazione dello Stato nel quale i locali si trovano.
Questa teoria vede quindi i locali della missione diplomatica sottoposti al regime dell'inviolabilità da parte delle autorità dello Stato accreditante benché il territorio su cui sono edificati facciano parte del suddetto Stato.

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